sabato 18 aprile 2020

Apologia del Complesso Degli Opera

«Donna di chi ?! Io non lo so. Di tutti o mia: di chi tu sei !? Dimmi per chi nasconderai la dolce via, donna di chi». Il Complesso degli OPERA esordì nel 1975 nella formazione composta da Giuseppe Mantineo (chitarra), Pino Allegra (c. basso), Vincenzo Maccagnani (batteria) capitanati da Filiberto Ricciardi (voce, pianoforte, sinth) reduce del complesso dei GENS. Il brano contenuto nella facciata “A” del primo disco della band si intitola Donna di chi. Questo testo porta la firma di Daniele Pace (1935‐1985), il quale adagiò questi versi sulla musica composta da Filiberto Ricciardi, che nel quartetto occupava il ruolo di pianista e di cantante solista. Ruolo ‐ quest’ultimo ‐ che ricopriva alla perfezione. Peraltro Donna di chi è un brano in tonalità di Mi maggiore (inusuale per una voce maschile), con un disegno melodico a intervalli “regolari” su una ritmica “larga” che richiama le arie d’opera! Ma è nel ritornello del brano del lato b, Se tu se mai, (musica e testo di Filiberto Ricciardi) che Danilo Vaona (orchestratore / arrangiatore di entrambi i brani) da il meglio di sé. «Forse nel silenzio della sera vorrei fermarti, ma ormai vedo che nell’ombra ti allontani da me; mi chiedo perché. Già c’è più silenzio intorno» si posa su una ritmica lievemente blues sostenuta da un sostrato armonico di tutto rispetto con un disegno di archi elaborato con eleganza e maestria. «Noi parliamo dell'amore quando non c'è più / Ogni foglia che perdevi era una virtù / Poi d'un tratto lungo i viali della poesia / Ti ricordi che non sei più mia E noi / noi parliamo dell'amore quando non c'è più / Senza sprechi di pudore come lo vuoi tu / Sai voltare il tuo cuscino per l'eternità / Tanto un giorno viene e l'altro va». La musica del brano L’ho persa ancora venne composta da Ricciardi mentre il testo porta la firma di Oscar Avogadro (1951‐2010) e Daniele Pace (1935‐1985), due tra gli autori tra i più prolifici della canzone italiana degli anni settanta del novecento. Il brano non spicca per originalità e cerca di bissare il successo del precedente. Anche qui si sente il tocco di Danilo Vaona. A differenza dei primi due (stampati dalla CGD su catalogo CBS) il terzo disco viene pubblicato nel 1976 dalla EMI. «Lei bambina lei signora lei innocenza dell’aurora, lei stupore della sera, lei malinconia lontana..» sono i versi del ritornello del lato “a” del terzo disco della band. Ricciardi firma sia il testo che la musica (che richiama di striscio “Gioco di bimba” de Le Orme) e il quartetto cura anche gli arrangiamenti. Cara (lato b) conferma lo stile della band in cui il timbro vocale e l’approccio compositivo di Ricciardi sono ormai consacrati a marchio sonoro inequivocabile. Tuttavia il brano apre con premesse ambiziose («Ed ecco che mi immagino il giorno che mi mancherai nell’anima...») che si spengono presto in un ritornello slow («Perché dentro di me nasce e muore, amore mio, incerto questo addio più fragile di me») con tanto di chitarra solista finale. 1977. Ancora un trapasso di etichetta. Ma se con la Durium il complesso degli Opera trova un po’ di stabilità contrattuale, la qualità delle canzoni rimane bassa. Stelle su di noi è il quarto disco 45 gg della band. Un brano senza infamia e senza lode che apre con una introduzione di organo che fa il verso ai Procol Harum. Brano che partecipò al festivalbar di quell’anno rimanendo intrappolato tra le pieghe dell’indifferenza. Molto meglio Cucciolo «Sembravi un cucciolo indifeso che ogni volta sei quando più forte ritornavi nei pensieri miei, quando il tuo corpo ancora acerbo mi mostravi e nel silenzio un po’ tremando ti spogliavi». Qui si sentono echi di “Io domani” di Marcella Bella ma ormai Licciardi tira dritto e la band assolve il compito di arrangiare i brani facendo a meno dell’orchestra. Insomma, Lucariello e i Pooh lasciarono un solco indelebile nella prima metà dei settanta e furono decine le band italiane di quel tempo che, volenti o nolenti, metabolizzarono la lezione. 1978. Appare l’articolo determinativo davanti al nome della band. Aria Acqua Terra e Fuoco odora di rock progressive ma se le intenzioni erano quelle l’operazione riesce obliqua. Il lato “b” Re Salomone richiama “Alla fiera dell’est” di Branduardi. 1979. XXIX edizione del festival della canzone italiana. Il diario dei segreti, lato “a” del sesto disco della band, partecipa al concorso “piazzandosi” fuori dalla classifica. La musica del brano porta la firma di Giuseppe Adorno mentre il testo è di Claudio Daiano; gli arrangiamenti sono di Pinuccio Pirazzoli. Bella la copertina del disco in cui, per la prima volta, non appaiono i componenti del complesso. La voce di Ricciardi risulta inconfondibile e, sebbene la canzone non esca dai canoni del Sanremotipo, Gli Opera marchiano ancora una volta il brano con il loro sound. Il retro del disco 1000 anni di luce è un brano di Ricciardi intriso di similprogressive. Volare mai, settimo disco della band. Sulla copertina riappaiono i componenti del complesso. Il batterista Maccagnani ha tagliato barba e capelli o non è più lui ?! Il sound della band si è dissipato per rifondersi nei suoni tipici dei tardi anni settanta. La voce di Ricciardi si perde nella coralità. Sul lato “b” Vecchio mercante, un brano che risente (di nuovo!) delle atmosfere similprogressive ma che stride alquanto con quello del lato “a”. Che dire: la band ha perso le sue caratteristiche degli esordi. 1980. Ottavo disco della band. Ultimo con la Durium. Lascia che sia porta la firma di Antonello Barillà per la musica e di Cristiano Minellono per il testo. Sulla facciata “b” Senti, brano dei medesimi autori del lato “a”. Il sound è tutto nella copertina del disco, in cui appare il logo del complesso tra l’arcobaleno le nuvole e i gabbiani con le ali spiegate. Della voce di Ricciardi non vi è traccia. Al suo posto è subentrato Mario Volanti ? Giacomo Mantineo è stato sostituito da Antonello Barillà. Carlo Simone ha preso il posto di Pino Allegra. 1981. Guerriero. Sulla copertina appaiono cinque musicisti dai volti nuovi. Della formazione degli esordi, non è rimasto più nessuno. Con questa canzone la band partecipa al festival della canzone italiana XXXI edizione. Il brano non si classifica. Sul retro del disco la canzone dal titolo Con lei (musiche e testi di Antonello Barillà.. o quantomeno egli è ufficialmente accreditato come autore di entrambi i brani del disco) «Io sono qui mi sembra un secolo; sto aspettando e non arrivi più. In mezzo ai tram, in mezzo al traffico mi guardo intorno e cerco te». Il sound è figlio del suo tempo e strizza l’occhio a un rock di plastica che, tuttavia, non inganna nessuno. Il penultimo disco di questa formazione si intitola Guai. Sulla copertina appare il nome della band con in basso a destra i titoli delle canzoni. Lato “a” «Guai che ci ronzano in testa. Ehi, pure lei si guasta; forse spingendo ripartirà». La luce del mattino (lato "b") «Luce del mattino dammi la speranza entra in questa stanza. Prendimi per mano dimmi piano piano qual è la mia strada». 1984. L'ultimo disco di questa formazione si intitola Getta la maschera. Sulla copertina vengono ritratti i quattro componenti del complesso (erano cinque, ma uno di essi si è perso.. per strada 😀) sulla panchina di un parco. Lato “a” «Getta la maschera qui, non far quegli occhi cattivi, lo so che è un po' colpa mia, che non dovevo andar via, adesso sono ai tuoi piedi». (Sul lato "b" Sabbia). Si conclude qui il percorso discografico di una band che, agli esordi, aveva le carte in regola per ritagliarsi un posto nel panorama musicale italiano. Caso non unico nel panorama musicale italiano, ponendo a confronto le copertine del primo e dell'ultimo disco, il nome della band è lo stesso ma il nucleo della formazione non coincide. Non è dato sapere con certezza se e per quanto tempo ancora il complesso degli Opera abbia continuato l’attività concertistica dopo il 1984. In attesa di reperire ulteriori e più precise acquisizioni documentarie su questa band, Hydor Vox desidera ringraziare Jack Beatrici, titolare dell'omonimo canale Youtube, per aver realizzato e unificato la discografia di questa band altrimenti sparsa in maniera disomogenea su vari altri canali. ➡️ ➡️ ➡️ ➡️ Gli Opera - Discografia completa https://www.youtube.com/watch?v=wCh0lICXM5U&t=1500s

martedì 25 dicembre 2018

Flora fauna e Cemento - Rock (Numero Uno - 1973)

Nel 1973 trovare gente che voglia far parte di un complesso è un’impresa di estrema facilità; la difficoltà si presenta nel riuscire a selezionare le persone giuste che, al di là della facciata fatta di capelli lunghi, pantaloni a tubo e chitarre, batterie e organi elettrici, sia disposta a portare avanti "il complesso" con un obiettivo preciso per un traguardo preciso. Impresa sicuramente difficile e faticosa, spesso poco gratificante, sempre dispendiosa e quasi mai remunerativa, che trova il suo artefice in chi è pervaso da vocazione e tenacia e mette la musica al di sopra di tutto (famiglia, amici, partita di pallone, cinema, scuola e fidanzata!). Va da sé che con queste premesse scovare dei sodali validi significa incrociare individui ambiziosi, assertivi e - sopratutto - aderenti a pieno titolo al progetto. Operazione facile?! Le conferme, come sempre accade, le da il trascorrere del tempo. Giacché il _Complesso_ si forma quando più anime si uniscono in una euforia d’intenti, di emozioni e di opere, con la conseguenza che il loro potenziale si somma generando una Entità che supera la somma delle parti. Come ebbe a dire Edgar Morin: «il tutto è più della somma delle parti»; enunciato che rende alla perfezione la filosofia di un sodalizio artistico (nel caso in specie il complesso musicale) all’interno del quale possono cambiare i componenti ma rimane intatto tutto il potenziale dell’eggregora. Complesso deriva dal latino cum plexum, laddove plexum significa tessuto, trama: quindi più parti ordite fra esse ma inter-dipendenti l’una dall’altra. Concetto assai distante da quello di Gruppo, che delinea i singoli componenti di un sistema, ciascuno per sé, ammucchiati insieme! Quella dei FLORA FAUNA E CEMENTO appare perlopiù come una delle tante operazioni commerciali in cui sono assenti le caratteristiche del Complesso testé citate e blande possono qualificarsi quelle del Gruppo. Il via-vai di musicisti la dice lunga sulla possibilità di questi ultimi di tracciare un percorso artistico che non fosse quello esclusivamente commerciale. La pochezza dei testi adagiati su musiche inconsistenti fanno dell’album “Rock” (Numero Uno ZSL N 55653) un disco del quale non si sentiva certamente la mancanza. Brani come «Maria Teresa Rigamonti» (musica: M. Lavezzi /Bruno Longhi; testo: B. Lauzi / B. Longhi) in cui appare addirittura la firma di Bruno Lauzi fanno il paio con «Un papavero» uscito su disco 45 giri due anni prima. Orgoglio dell’A.F.I. e di organismi analoghi (ai quali della musica non è mai importato un «fico secco»); tributo alla perentoria equazione costi-guadagni-ricavi, l’operazione Flora Fauna e Cemento durò lo spazio di alcune stagioni comprese tra il 1971 e il 1977 per poi estinguersi con la medesima inanità con la quale era stata concepita. Chi volesse ascoltare intero album dal titolo “Rock” può farlo all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=D821sfwhpxU del canale youtube di Jack Beatrici. 
Buon ascolto!

mercoledì 16 novembre 2016

IL COMPLESSO MUSICALE

C’è stato un momento della storia italiana, dagli anni cinquanta del secolo scorso in poi, in cui fare gruppo costituiva parte integrante della vita sociale di un giovane uomo. In questo particolare periodo c’era chi faceva gruppo nell'ambito delle parrocchie (e si formavano le squadre di calcio giovanili), chi lo faceva nelle università (e nascevano le associazioni studentesche), chi lo faceva nella politica extra-parlamentare (e sappiamo tutti come andò a finire!). Ma vi è stato un settore (quello della musica leggera, per l'appunto) dalla seconda metà degli anni sessanta, in parallelo a ciò che costituiva l'egemonia del modo di fare musica di quel tempo, in cui si cominciò a fare gruppo aggregandosi attorno al "progetto" di suonare insieme. Questo nuovo criterio di aggregazione trasse ispirazione dai Rolling Stones e - soprattutto - dai Beatles, che oltre Manica avevano soppiantato il sistema orchestra concentrando in una band composta da pochi elementi chi, contemporaneamente, suonava e cantava. In Italia, la band, correttamente, prese l'appellativo di complesso. Nel giro di pochi anni, dal 1960 in poi, man mano che il fenomeno cominciava a dilagare, "fare il complesso” rappresentò una specie di movimento involontario che, sulle orme dei citati Rolling Stones, dei Beatles e del cosiddetto beat, rincorreva un modo diverso di fare musica e di raccontare storie, inventando una maniera nuova di fare canzoni. I complessi erano composti per lo più da giovani uomini a cui, per la prima volta, veniva riconosciuto lo status di ragazzo, con una sua dimensione e un suo contesto culturale assai distante da quello degli adulti (ribattezzati matusa). Queste compagini erano formate da aspiranti musicisti che molto spesso, a parte l’aspirazione, non possedevano la benché minima conoscenza della teoria musicale e tantomeno della tecnica strumentale (che fosse la batteria piuttosto che l’organo elettrico o la chitarra poco importa). Per sopperire alla mancanza dei rudimenti di base per progredire, l’editoria di quel tempo colse al volo l’opportunità e cominciò a stampare metodi per autodidatti aspiranti musicisti con promesse mirabolanti sulle copertine. Tuttavia i più ambiziosi si misero sotto l’ala protettiva di un insegnante. A metà degli anni sessanta il fenomeno divenne incontenibile: gruppi di giovani avevano occupato le cantine e le soffitte dei quartieri italiani; c’era sete di protagonismo, voglia di sognare; qualcuno cresceva e moltissimi rinunciavano; perché al di là della facciata fatta di capelli lunghi, pantaloni a tubo e chitarre, batterie e organi elettrici, formare e portare avanti "il complesso" era difficile e faticoso, spesso poco gratificante, sempre dispendioso e quasi mai remunerativo. Chi resisteva era di certo pervaso da una sorta di vocazione, una tenacia che andava al di là della passione e che metteva la musica al di sopra degli amici, della partita di pallone, del cinema, della scuola e spesso anche della fidanzata che puntualmente (e in qualunque latitudine) minacciava, prima o poi, il fatidico: «O me, o la musica» ... e solo qualche volta vinceva la musica ! Questi ultimi, senza saperlo, stavano sperimentando quel fenomeno che si può fare rientrare nella tesi formulata da Edgar Morin, in cui si parla di rapporto tutto-parti e di unità complessa organizzata. Egli affermerà: «il sistema possiede qualcosa di più delle sue componenti considerate isolatamente o disposte in maniera differente [...]. Non soltanto quindi il tutto è più della somma delle parti, è la parte che è, nel tutto e grazie al tutto, più della parte». Di qui il passo fu breve: la rappresentazione del complesso musicale come totalità dinamica, nel tempo, fece la differenza. Benché quello del beat altro non fu che uno dei primi elementari espedienti di marketing delle case discografiche per vendere dischi, quando smise di soffiare il vento della protesta e cominciò a prendere forma un nuovo modo di suonare - il cosiddetto progressive - si pervenne ad un sorta di “auto-selezione della specie”; quelli che decisero di continuare furono pochi talentuosi; molte compagini dai nomi variopinti ed eccentrici si sciolsero come la neve al Sole; i musicisti superstiti riuscirono a imboccare una via italiana che permise loro di restare attivi ancora per qualche tempo. Tra le band che avevano conquistato le vette del panorama musicale a cavallo tra i sessanta e primi settanta, l’Equipe 84 chiuse i battenti nel 1976 qualche anno dopo the Rokes (di contro altri complessi come i Nomadi oppure i Pooh sfonderanno il muro dei 50 anni di attività); alcuni infine trovarono spazio tra le pieghe del mercato discografico proponendo melodie su improbabili ritmi disco-dance. Ciò nonostante, nel periodo compreso fra i primi anni settanta e la metà degli ottanta, sulla scia della fine del (cosiddetto) beat e del rock progressive, sono nate vissute e declinate una miriade di formazioni che hanno trovato un forte consenso in un pubblico legato alla migliore tradizione melodica italiana le sigle dei quali rimandano a titoli improbabili ma fantasiosi e accattivanti quali - tanto per fare un esempio esplicativo e non certamente esaustivo - “Il Cerchio D’oro” piuttosto che “Quarto Sistema”). I musicisti di queste band - alcuni dotati di buona preparazione tecnica (già a metà degli anni settanta, a causa della smania esterofila, si era perduto l’appellativo di “complessi”) hanno trovato l’opportunità di incidere le loro canzoni con piccole etichette indipendenti lasciando una traccia su dischi a 45 giri (ma, talvolta, anche su album). Oggi (2016), quel certo modo di “fare gruppo” non esiste più; la professionalità ha sopperito al dilettantismo spinto degli strumentisti del secolo scorso. Sia come sia, questi cinquant'anni e più di musica dei Complessi vivono ancora attraverso i dischi pubblicati su molti siti specialistici così come attraverso i canali You-Tube. Questo Blog vuole proporsi come un’area in cui trattare di questo fenomeno. Si invitano pertanto tutti coloro i quali volessero partecipare al dibattito a portare (e apportare anche con immagini, copertine di dischi etc.) le loro esperienze.